Nell’ambito del commercio e, più in generale, nel “fare impresa” i contratti di locazione – o affitto – sono molto diffusi in quanto permetto all’imprenditore di avere subito a sua disposizione gli strumenti e i fattori produttivi di cui la sua attività necessita, senza per questo scontare la rischiosa esposizione finanziaria dell’acquisto, cosa che permette anche di “testare” la fattibilità di determinate iniziative imprenditoriali a rischi e costi contenuti.

Dall’altro lato, la parte locatrice – cioè chi cede temporaneamente la sua proprietà dietro corrispettivo – ha così la possibilità di ricevere un’entrata periodica, abbastanza sicura, pur mantenendo la proprietà del bene.

Specialmente quando la locazione riguarda complessi aziendali (rami o complessi aziendali, forma tipicamente utilizzata nel commercio su aree pubbliche o negli esercizi di somministrazione) o immobili a uso commerciale (più diffusa nel commercio in sede fissa, negozi e botteghe), può capitare che ad un certo punto le parti stabiliscano di comune accordo una riduzione del canone.

I motivi possono essere i più disparati, dalla contrazione del mercato o crisi settoriale (basti pensare agli effetti che la pandemia, o all’attuale spinta inflazionistica, hanno avuto sul commercio al dettaglio) a eventuali criticità di natura locale (un cantiere della metropolitana nelle vicinanze, ad esempio) o persino problemi strutturali emergenti nel bene oggetto della locazione che ne vanno a ridurre la redditività o a generare dei disagi (es infiltrazioni d’acqua nell’immobile, ecc..).

Certo è, che quando si concorda una riduzione del canone entrambe le parti convengono sul fatto che le cose non stanno andando bene come ci si sarebbe aspettati all’inizio del rapporto e così può succedere che ci si interroghi su quali adempimenti tributari siano legati alla riduzione del canone.

Con la Risoluzione n. 60/E del 28 giugno 2010 l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad un interpello di un contribuente, ha chiarito come nel caso della riduzione del canone “non sussista in capo ai contraenti l’obbligo di comunicare all’Amministrazione finanziaria la modifica contrattuale intervenuta” atteso che il DPR 26 aprile 1986, n. 131 prevede l’obbligo di registrazione solamente per quegli eventi che comportano la cessione, la risoluzione e la proroga dell’atto originario (art. 17) ovvero l’aumento del canone (art. 19).

Detto ciò, l’Amministrazione finanziaria precisa che “può rispondere ad esigenze probatorie la necessità di attribuire all’atto di modifica contrattuale la data certa di fronte a terzi” specialmente per eventuali successive azioni di accertamento da parte del Fisco in merito alla conseguente riduzione del gettito ai fini IVA e delle imposte sui redditi.

A tal proposito, l’Agenzia suggerisce che è comunque possibile registrare l’avvenuta riduzione del canone, scontando l’imposta di registro in misura fissa (67 euro se si tratta di locazione d’immobili o 200 euro se si tratta di locazione di rami o complessi aziendali), dandone così data certa ai sensi dell’art. 2704 del codice civile.

Si segnala che esistono comunque altre modalità per provare la data certa di un documento, ad esempio la sua trasmissione via PEC o l’apposizione della marca temporale sul medesimo documento.