Salvo ulteriori proroghe dell’esenzione, dal primo aprile 2022 su tutti i mercati d’Italia si pagherà il canone unico. Andiamo a vedere di cosa si tratta.

Previsto dalla legge n. 160/2019 (art. 1 commi 837 e ss.) il canone unico è in realtà in vigore già dal primo gennaio del 2021, ma le esenzioni messe in piedi sistematicamente dal MEF per agevolare il commercio su aree pubbliche durante la pandemia hanno fatto sì che di fatto chiunque operi con autorizzazione per il commercio su aree pubbliche (quindi di tipo A o B) sia stato completamente esentato dal pagamento del canone unico dal primo gennaio 2021 al 31 marzo 2022.

Partiamo dall’esenzione.

Ci teniamo a precisare che il testo della norma (DL 137/2020 art. 9-ter comma 3) che stabilisce l’esenzione specifica chiaramente che riguarda tutti coloro che operano nel commercio su aree pubbliche con idonee “concessioni o autorizzazioni”, ciò rende la norma oltremodo inclusiva anche degli “spuntisti” (che operano infatti con autorizzazione di tipo B oppure con autorizzazione di tipo A di altro comune ove previsto dalla normativa regionale) e delle fiere che si svolgono nell’ambito del commercio su aree pubbliche, per le quali in sede di domanda o di spunta viene richiesto il possesso di una autorizzazione per il commercio su aa.pp. (è lo stesso D. Lgs. 114/98 a includere espressamente queste due forme di attività nel novero del settore).

Sebbene la stragrande maggioranza dei comuni italiani applichi questa norma correttamente c’è una parte di amministrazioni che ha cercato più o meno goffamente di raggirarla e ciò avviene nonostante sia previsto un fondo specifico regolamentato dal MEF per il risarcimento di questi ammanchi; la motivazione parrebbe legata al fatto che alcune società di consulenza per le pubbliche amministrazioni, probabilmente digiune di commercio su aree pubbliche, abbiano distrattamente scritto sui loro siti che fieristi e spuntisti sarebbero esclusi da detto beneficio perché questo tipo di operatori non opererebbe con regolare autorizzazione.

Come spiegato sopra, l’esenzione spetta invece anche a loro, e se pensiamo solamente a quante fiere sono state annullate negli ultimi due anni (prassi che purtroppo sta tornando in auge in questi giorni, in contemporanea con outlet pieni zeppi per i saldi…) ci rediamo conto di che sensibilità dimostrino di avere questi amministratori.

Cosa include?

Per le occupazioni temporanee, per intenderci mercati, fiere, singoli posti, si applica la tariffa giornaliera, la quale include sia la tassa per l’occupazione del suolo pubblico (Tosap/Cosap) sia la tariffa dovuta per la raccolta e smaltimento rifiuti (TARI/TIA) che ora non saranno più dovute dagli operatori in luogo del canone unico.

Per le occupazioni permanenti invece, ovvero che si protraggono per l’intero anno solare, è invece dovuta la tariffa annuale, che però non include la tassa rifiuti.

Ritorna il tetto alle tariffe.

Mentre TARI e COSAP non prevedevano più un tetto alle tariffe, il canone prevede nuovamente questo limite.

Le tabelle che si trovano nel testo della norma infatti vanno frazionate per ore (fino ad un massimo di 9, dopodiché vale la tariffa intera), e per i mercati viene garantita comunque una riduzione tra il 30 e il 40 per cento. In ogni caso non possono subire aumenti oltre il 25 per cento.

Come spiegato meglio nel punto seguente, l’amministrazione può stabilire riduzioni, esenzioni e perfino azzeramenti della tariffa stessa.

Il comune può ridurre la tariffa, fino ad azzerarla.

Mentre la normativa precedente prevedeva questa possibilità solamente in alcuni casi specifici, ora i comuni, indipendentemente dalla grandezza e dal contesto, sono legittimati a stabilire riduzioni o azzeramenti del canone, cosa che permetterà alle amministrazioni di incentivare l’insediamento in nuove aree oppure il rilancio di aree urbane in difficoltà, in pratica i comuni potranno “investire” sui loro mercati, ad esempio, per favorire l’offerta di beni e servizi fino a quel momento mancanti da una certa area.

Ovviamente i comuni rimangono legati ai loro vincoli di bilancio, e quindi è probabile che gli azzeramenti veri e propri li vedremo solamente in situazioni specifiche, ma per i tributi che riguardano i mercati è la prima volta che viene effettivamente stabilito un tetto e non un minimo alle tariffe.

Questa caratteristica innovativa del testo, insieme ad alcune puntualizzazioni sul frazionamento orario della tariffa, è stata ribadita dal MEF nella risoluzione n. 6/DF del 28 luglio 2021.

Permette la liquidazione giornaliera del tributo.

Mentre le normative precedenti potevano creare delle difficoltà tecniche circa l’attuabilità di una vera e propria tassa giornaliera, il canone unico si presta ad essere liquidato quotidianamente – come previsto ad esempio dal regolamento di Torino – con tutta una serie di vantaggi per operatore e comune:

– l’operatore paga solo quando piazza, quando è assente nulla è dovuto, e in più non si vedrà più arrivare cartelle a quattro zeri, magari con scadenze vicinissime;

– il comune non si trova più a dover rincorrere le insolvenze e dare in gestione a terzi riscossione e recupero dei crediti comunali, quindi meno costi e meno burocrazia per tutti.

Non sono previsti aumenti dalle tariffe precedenti.

Di per sé, l’adozione del canone unico non può comportare aumenti tariffari rispetto alle cifre dovute fino al 2020, infatti è lo stesso comma 843 a stabilire che per quell’anno i comuni avrebbero potuto aumentare le tariffe di Cosap o Tosap solo in ragione del tasso di inflazione programmato.

Più in generale, in materia di tasse locali (cioè tributi legati all’erogazione di un servizio oppure alla fruizione di un bene pubblico) è pacifico che eventuali aumenti tariffari necessitino di una specifica motivazione e ovviamente debbano sempre muoversi nell’alveo della proporzionalità stabilita dal nostro ordinamento. Così si è espressa del resto la V sezione del Consiglio di Stato nel caso della Tosap (sent. 446/2010) e della Tarsu (sent. 5616/2010).

MEF e TAR del Lazio d’accordo sull’illegittimità degli aumenti.

Propriamente in materia di canone unico citiamo infine la recente sentenza del TAR del Lazio n. 3248/2022 del 21/03/2022 secondo cui “il gettito derivante […] non può essere variato in aumento rispetto al precedente gettito […] diversamente opinando, infatti, la disciplina verrebbe ad essere sospettata di incostituzionalità”, confermando sostanzialmente quanto già previsto dalle linee guida ministeriali e dalla giurisprudenza previgente, ovvero che il recepimento dell’attuale normativa da parte dei comuni non può essere giustificazione di aumenti tariffari.

Interrogazioni parlamentari.

Segnaliamo inoltre la recente risposta data dal sottosegretario al MEF Federico Freni ad apposita interrogazione parlamentare in VI commissione secondo la quale “proprio in considerazione della particolare attenzione che si è voluto rivolgere alle occupazioni in argomento [mercati, NdT], il citato comma 843 ha arginato la potestà regolamentare dei comuni prevedendo apposite agevolazioni..” (rif. interrogazione del 18 maggio 2022 presso la VI commissione permanente) andando così a ribadire che, in ogni caso, i comuni sono obbligati ad attenersi alle tariffazioni stabilite dalla legge.

Modalità operative di calcolo.

Visto che stiamo parlando di riunire due tipologie di tributi differenti e ciò nel caso di molti comuni si traduce in decine di tariffe differenti per merceologia e per mercato, è evidente come ciò possa dare origine a qualche malinteso sebbene la normativa appaia abbastanza chiara. A livello operativo è logico immaginare che il calcolo da parte degli uffici dovrebbe partire a ritroso, ovvero dalle tariffe previgenti, andando a inserire poi delle riduzioni per garantirne la proporzionalità e – in ogni caso – qualora queste dovessero risultare oltre il limite stabilito.


A cura di Gregory Massa